martedì, novembre 25

Pubblicità: inveramento postumo del marxismo o umanesimo immanentista?

Leggo sul sole 24 ore un articolo interessante di Alessio Musio e Luigi Ballerini che cerco di riassumere.

Nel sentito comune, il senso della pubblicità consisterebbe nel vendere e nel convincere spettatori ubbidienti e non pensanti. Tra vendere e convincere si verrebbe a creare una sorta di identità dove vendere è convincere e convincere vuol dire vendere.
Secondo questa linea una pubblicità è tanto più efficace, quanto più riesce a far acquistare un prodotto che una mente lucida non comprerebbe mai.
A questo pensiero se ne contrappone un altro secondo cui, invece, la pubblicità è uno stimolo e, in quanto tale, fa pensare. E' come se l'emozione di un istante diventasse materiale da elaborare da parte della nostra mente, una sorta di sollecitazione a pensieri nuovi o rinnovati.
Per esempio, nel linguaggio quotidiano, spesso si paragonano, con intenti diversi, determinate situazioni all'immagine di quella famiglia di una nota pubblicità che da oltre vent'anni ripete con lo stesso tema, tanto da renderlo parte del nostro pensare un concetto come "la famiglia Mulino Bianco".

E' dunque lecito augurarsi una pubblicità che aiuti a vendere perchè capace di fare pensare?

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